La battaglia delle arance di Ivrea ha luogo gli ultimi tre giorni, ovvero la domenica, il lunedì grasso e il martedì grasso del carnevale, sempre di pomeriggio, e rappresenta il momento più spettacolare dell'intera manifestazione, motivo di richiamo turistico annuale per migliaia di visitatori, che pure corrono il rischio di essere colpiti.
Le origini di questa tradizione sono incerte, ma risalgono verosimilmente al XIX secolo, quando presero ad essere praticate delle scherzose schermaglie tra le carrozze e la gente sui balconi, a ridosso delle principali vie storiche di Ivrea (via Arduino e Via Palestro)[9], forse in scherno alla ridicola elemosina di fagioli che avanzavano durante le grasse fagiolate dei ricchi durante il Medioevo; inizialmente infatti, si usava tirare soltanto fagioli dai balconi, e la conformazione topografica del centro storico si prestava (e si presta tuttora) molto bene a questo tipo di "comunicazione" tra case e vie sottostanti.
Si narra poi, del lancio di frutta o di ortaggi dai balconi anche da parte di fanciulle corteggianti o corteggiate dagli stessi viandanti di sotto; venivano anche usati lupini, confetti, coriandoli o fiori. Non è ben chiaro il passaggio con il tiro delle arance, ma probabilmente era considerato un frutto "esotico" da corteggiamento, proveniente dalla lontana Nizza.La tradizione prese corpo per simboleggiare soprattutto il colore passionale del sangue versato dalle storiche rivoluzioni del passato, e dalle guerre che segnarono la città, in uno stile del tutto risorgimentale. Agli inizi del XX secolo già si usava lanciare soltanto arance. Ma fu solo nell'immediato secondo dopoguerra che si formarono ufficialmente le prime squadre a piedi di aranceri, e si allestirono i cosiddetti primi carri da getto. L'iniziativa, dapprima sorta casualmente al di fuori delle classiche celebrazioni, fu subito riportata al contesto storico-leggendario del carnevale, stabilendo che i carri dovessero rappresentare i ben armati manipoli di sgherri agli ordini del tiranno, e che le squadre a piedi dovessero essere intese come bande popolane in rivolta. La battaglia diventò così anch'essa il simbolo delle lotte del popolo contro la nobiltà. Le prime squadre combattenti si formarono nel rione operaio della nascente fabbrica Olivetti del 1947, col nome di Asso di Picche. Seguirono immediatamente dopo, le squadre di Morte, Scorpioni d'Arduino, Tuchini, Scacchi, Pantere, Diavoli, Mercenari e Credendari, questi ultimi che presidiano le piazze.
La battaglia ha per teatro le principali piazze della città; essa si svolge, come detto, tra i carri che passano al seguito del corteo e le stesse squadre a terra. I visitatori turisti sono protetti da delle alte reti. I carri, pittorescamente bardati, sono trainati da pariglie o quadriglie di cavalli; ciascuno di essi trasporta un gruppo formato da 10 o 12 aranceri (10 per una pariglia e 12 per una quadriglia) protetti da costumi con vistose imbottiture e da terrificanti maschere di cuoio con grate di ferro per riparare il viso: sono aranceri abituati a lanciare con entrambe le braccia in modo da aumentare la "potenza di fuoco". Ogni squadra a piedi è formata da centinaia (spesso migliaia) di aranceri - uomini e donne - che vanno all'assalto del carro che transita dalla piazza cercando di colpire gli avversari. Indossano colorati costumi con campanelli alle caviglie, e con casacche legate in vita, semiaperte sul davanti in modo da contenervi una buona, provvista di arance; non dispongono di alcuna protezione che li ripari dai colpi nemici.
La battaglia delle arance Una speciale commissione osserva, nei tre giorni di suo svolgimento, l'andamento della battaglia ed assegna un premio alle squadre a piedi ed ai carri da getto che, per ardore, tecnica e lealtà, si sono maggiormente distinti.
Con la popolarità assunta – anche in virtù dei mass media – dalla battaglia delle arance il numero di squadre a piedi e di aranceri che in esse militano è andato vistosamente accrescendosi nel tempo. Si sono costituite associazioni di aranceri, dai nomi pittoreschi, che si occupano di organizzare la partecipazione al carnevale. La sfilata del sabato sera, un tempo prerogativa della goliardia degli universitari, è diventata la festa degli aranceri che provvedono, con le loro associazioni, ad addobbare strade e piazza con striscioni e stendardi che espongono i loro simboli, colori e slogan di battaglia.
Ad Ivrea la battaglia delle arance ha da sempre dato luogo a polemiche, per i supposti sprechi (in realtà le arance che al termine di ogni giorno di battaglia ricoprono interamente, con i loro sfasciumi, le strade e le piazze della città, andrebbero al macero, si tratta normalmente di arance non adatte al consumo alimentare), per il "bollettino dei feriti" che ogni anno debbono ricorrere al pronto soccorso ospedaliero, per gli episodi individuali di intemperanza e malcostume.
Giunto in prossimità del carro, il Generale salutò con la sciabola la Mugnaia e stette poi qualche attimo immobile, in attesa che quella snudasse la sua lama e, d'un colpo deciso, ne alzasse, a braccio teso, la punta verso il cielo. Era quello il segnale del fuoco. Dopodiché il Generale partì al galoppo verso lo scarlo, seguito dall'Abbà. Il bimbo, posato in terra, accostò la sua fiaccola alla base dell'antenna che subito s'accese e, crepitando, fiammeggiò. Un urlo s'alza allora dal buio della folla, urlo immenso che turbina intorno alle lingue di fuoco salienti verso l'alto, stirate dal vento, punteggiate di faville, illuminanti le migliaia di teste rosse che gremiscono la piazza, il pallore sinistro delle case, la Mugnaia bianca, immobile con la sua spada levata verso cielo.
[...]» Carnevale Ivrea
(Salvator Gotta, L'amica dell'ombra, Baldini & Castoldi, Milano, 1931)